Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

venerdì 25 ottobre 2013

Rifondazione comunista: ultimo atto?

di Valerio Torre
 
Rifondazione comunista si avvia verso il suo congresso nazionale, fissato per il prossimo dicembre, in una situazione che assomiglia parecchio ad una liquidazione di fatto.
L’ennesima sconfitta elettorale – un elemento dirompente per un partito che negli anni si è costruito avendo come obiettivo prioritario della sua agenda politica il risultato elettorale e educando in tal senso i propri militanti– l’ha definitivamente proiettata nella spirale di una crisi da cui nessuna delle tendenze che fin qui l’ha governata sa come uscire. È possibile che il congresso sancirà questa situazione in maniera irreversibile.
 
I documenti a confronto: l’area Ferrero
La corrente del segretario uscente, Ferrero, brancola nel buio e, nel rinviare di ben dieci mesi dal tracollo elettorale la discussione congressuale per non essere costretta a fare i conti con i catastrofici risultati nella gestione del partito (non solo elettorali, quanto soprattutto politici) ha giocato su più tavoli allo scopo di mostrare a quel che resta del corpo militante – vincolandolo a un attivismo privo di progetto politico – una vivacità che potesse rivelarsi attraente in funzione del prossimo congresso: all’interno del partito, ha impegnato la base nella partecipazione a seminari nazionali sui più curiosi argomenti (1); all’esterno, da un lato ha partecipato (non ufficialmente, come organizzazione, ma individualmente attraverso i propri “colonnelli”) a tutto il percorso che dovrebbe portare alla nascita di Ross@, la nuova creatura di Cremaschi; dall’altro, dopo averla in un primo momento snobbata, Ferrero si è precipitato sulla manifestazione dello scorso 12 ottobre indetta da Landini e Rodotà per non lasciarla nelle mani della corrente di Grassi, che invece aveva in animo di utilizzarla come trampolino di lancio del suo tentativo di avvicinamento a Sel e alla burocrazia Fiom.
L’area Ferrero giunge al congresso con un documento che rappresenta la “summa” di tutte le politiche riformiste che hanno portato il Prc alla pressoché totale liquefazione: si spazia dalla “democratizzazione dell’UE” alla sempiterna “ricostruzione della sinistra d’alternativa”; dall’ossimoro della “rivoluzione democratica” fino – per non farsi mancare nulla, recuperando così un concetto di bertinottiana memoria – alla “disobbedienza”, questa volta ai trattati europei. Con questo fardello di banalità che, più che “aclassiste” sarebbe meglio definire “apolitiche”, il segretario uscente ripropone la sua candidatura alla guida di Rifondazione.
 
L’area Grassi
Grassi, dal canto suo, aveva, subito dopo il tracollo elettorale di febbraio, abbandonato la tolda di comando (2), smarcandosi dalla segreteria dopo la débacle elettorale e reclamando a gran voce le dimissioni di Ferrero e l’immediata indizione del congresso per andare alla conta. Non avendo ottenuto né l’una né l’altra cosa, Grassi ha approfittato di questo lungo periodo precongressuale per atteggiarsi a “opposizione” interna, cercando di far dimenticare di aver governato il partito fino a ieri. Tuttavia, fedele alla sua impostazione togliattiana, non ha inteso presentare un documento contrapposto a quello di Ferrero, bensì due soli emendamenti che però puntano a sostituire il “cuore” della proposta politica del segretario uscente, di fatto vanificandola (3).
Il nodo che, in realtà, divide Ferrero e Grassi è il rapporto con Sel e, attraverso questa, col centrosinistra. Un rapporto che, nella concezione della corrente grassiana, deve essere costruito a partire dall’azzeramento di quanto resta della segreteria uscente.
Ed è proprio questo lo spartiacque su cui si consumerà il congresso e intorno al quale potrebbe giocarsi il futuro della Rifondazione comunista che abbiamo fino ad ora conosciuto.
 
FalceMartello e altri
In questo quadro, cerca di ritagliarsi un piccolo spazio la minuscola corrente interna FalceMartello che, tentando di sminuire le proprie responsabilità sia nella gestione del partito (4) che nelle sue politiche elettoralistiche (avendo dato indicazione di voto per la lista Ingroia), presenta al congresso un documento tutto infarcito di radicalismo verbale ma, in realtà, centrato sull’obiettivo della costruzione, non già di un partito rivoluzionario, bensì di un “partito dei lavoratori”. Obiettivo da raggiungere attraverso la “sfida” alla burocrazia sindacale e politica a rompere col centrosinistra per edificare “una rappresentanza del mondo del lavoro” (5). A ben vedere, si tratta della riproposizione, da parte di questa setta centrista cristallizzata nel suo eterno entrismo in Rifondazione, dell’ormai ventennale politica di ripiegamento strategico sugli apparati del movimento operaio allo scopo di “spostare a sinistra” quelle che invece altro non sono che agenzie della borghesia in seno alla classe lavoratrice: come dimenticare, infatti, che per anni FalceMartello ha sostenuto la stessa identica necessità nei confronti del Pds/Ds, vagheggiando un governo insieme al Prc? E come si potrebbe tacere il più o meno esplicito auspicio della vittoria di Renzi al congresso del Pd, giustificato dall’impressionistica analisi secondo cui essa “accelererebbe dentro e fuori dal Pd la discussione, che è già in corso, sulla necessità di una nuova rappresentanza politica dei lavoratori e sulla sinistra in questo Paese. Discussione alla quale ci dichiariamo assolutamente interessati…” (6)?
Resta da citare, per completezza, la partecipazione alla discussione congressuale di un terzo documento (firmato da Targetti e altri), che opera più che altro come elemento di disturbo e che, rivestito di ripetuti richiami a Gramsci, avanza una confusa proposta dove s’intrecciano togliattismo e pulsioni neostaliniste “di sinistra”.
 
Quali prospettive dal congresso?
Il fatto è che, da quanto si è potuto apprendere dallo svolgimento della discussione precongressuale dei vari Comitati politici federali del Prc, il documento di Ferrero complessivamente inteso (cui cioè si sommano i voti dei grassiani che, come detto, appoggiano il testo del segretario uscente presentando solo emendamenti) appare in calo di consensi: non tanto a vantaggio dei documenti concorrenti, quanto per la vera e propria “liquefazione” del partito. Giungono infatti notizie su votazioni nei Cpf cui prendono parte poche unità dei componenti.
È verosimile, dunque, che il congresso di dicembre sancirà una paradossale situazione in cui nessuna delle tendenze avrà i voti per governare il partito. E se, come è possibile, l’area Ferrero e quella Grassi saranno divise da uno scarto minimo, ogni scenario può materializzarsi: dalla conta finalizzata a una rottura (se non immediata, abbastanza prossima nel tempo) a una tregua armata per traghettare il partito verso le elezioni europee. Come pure non può escludersi a priori una confluenza di voti per consentire all’una o all’altra minoranza di “diventare” maggioranza per governare il partito.
 
Un invito al confronto per un’altra possibilità
Insomma, tutte le ipotesi sono in campo ed è presto per un’analisi più compiuta. Quel che è certo è che i gruppi dirigenti di Rifondazione, nessuno escluso, si lasceranno ancor di più alle spalle un terreno colmo di macerie portandosi dietro la responsabilità storica di aver dilapidato un rilevante patrimonio di militanza.
A ciò che resta dell’attivismo onesto del Prc, a quei compagni che, una volta passato il congresso di dicembre, si sentiranno ancor più delusi e avvertiranno la tentazione di tornare a casa, ci rivolgiamo ancora una volta: non con la supponenza di chi potrebbe dire “avevamo ragione noi”, ma con il rispetto per il travaglio di militanti che avevano in buona fede creduto alle fandonie dei loro dirigenti.
A questi compagni rinnoviamo l’invito a confrontarsi francamente e lealmente con noi, che abbiamo fatto una scelta diversa, difficile e faticosa, quella di costruire nel vivo delle lotte un partito rivoluzionario e un’Internazionale rivoluzionaria democraticamente centralizzata: un compito gigantesco che è solo iniziato e che richiede enormi energie. È l’invito ad avviare, con spirito fraterno, una discussione aperta a partire dall’analisi della crisi della sinistra comunista in Italia e dalla ricerca di una prospettiva realmente anticapitalista.

Note(1) Ad es., “Capire il M5S”, “La forma "partito”, ecc.
(2) Forse preparandosi ad abbandonare, come fanno i topi, tutta la nave che sta affondando. Al momento non è possibile prevederlo, ma al congresso potrebbe profilarsi anche quest’eventualità.
(3) Gli emendamenti sono stati respinti con uno scarto minimo dal Comitato politico nazionale, ma saranno riproposti alla discussione in tutte le istanze congressuali.
(4) Non va dimenticato infatti che, per una seppur breve fase, FalceMartello è stata rappresentata nella segreteria nazionale del Prc.
(5) “Produrre una rottura dei sindacati e della sinistra con il Partito democratico è oggi l’obiettivo principale che deve porsi un partito comunista che non si rassegni a restare nell’anonimato”: così si legge nel documento congressuale di FalceMartello.
(6) FalceMartello n. 256, 11/9/2013, pag. 6.
 

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