Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

giovedì 3 aprile 2014

L'ipocrisia capitalista sull'aumento della disoccupazione

Luciano Granieri

 Nel sistema capitalistico il lavoro è da sempre considerato come uno dei più potenti disciplinari di comando. E’ talmente potente da diventare l’asse portante della struttura economica e si trasforma in potere sull’intera vita delle persone “biopotere”. 

Questa è la teoria del filosofo  Michel Focault.  L’affermazione del “biopotere” inizia tra la fine del XVII secolo e l’inizio del XVIII, quindi in concomitanza con la prima rivoluzione industriale e  con l’affermarsi dell’ accumulazione capitalistica. Esso si  fonda sulla  coppia: “popolazione-ricchezza”.  Nella popolazione risiede il bacino della forza lavoro. E’ subalterna, capace di riprodursi, ma non di accedere al secondo elemento della coppia: la ricchezza. 

La categoria della ricchezza comprende la  classe proprietaria dei mezzi di produzione e dei capitali. E’  un oligarchia sociale che si nutre della  ricchezza generata dal bacino della forza lavoro e usa il lavoro come fonte di controllo e coercizione  sulla popolazione. L’obbiettivo è sottomettere la popolazione rendendola dipendente dal lavoro che diventa unico mezzo di sopravvivenza. 

Per garantire il predomino della ricchezza sulla popolazione è necessario che l’offerta di lavoro sia sistematicamente inferiore alla domanda dunque è fondamentale per esercitare il più efficacemente possibile il disciplinare di controllo mantenere in vita disoccupazione e precarietà. La disoccupazione è necessaria per ridurre il lavoro a puro stato di necessità e per lasciare i potenziali lavoratori alla mercè dell’accumulazione finanziaria.  

Lo scrittore Bernard De Mendeville in un poemetto satirico del 1705 dal titolo  “La favola delle api, vizi privati, pubblici benefici” cosi scriveva: “Che i poveri siano rigorosamente tenuti a lavorare …E’ prudenza allievare i loro bisogni ma follia eliminarli (..)  La ricchezza più sicura consiste in una moltitudine di poveri laboriosi”.  Dunque è necessario che vi sia la disponibilità al lavoro ma è altrettanto indispensabile, per esercitare il ricatto del bisogno,  usufruire solo di una parte di questa disponibilità.  

Ciò detto si capisce chiaramente come la disoccupazione sia elemento necessario all’affermazione del sistema capitalistico. Escluso il periodo fordista-taylorista, proprio della seconda rivoluzione industriale in cui la forza lavoro era numericamente  necessaria, e il cui controllo si esercitava non sulla quantità ma sulla qualità del lavoro stesso,  il principio della disoccupazione come elemento necessario all’accumulazione finanziaria è sempre stato valido e tenacemente perseguito. 

Ne è dimostrazione oggi il  Fiscal Compact. Come  efficacemente spiegato nel post di Thomas Fazi   "MA RENZI LO CONOSCE IL FISCAL COMPACT ?",  il  rispetto del 3% sul rapporto deficit nominale/pil è una prescrizione che arriva dal trattato di Maastricht, oggi superata dal Fiscal Compact. In questo trattato  si fa riferimento, non più al deficit nominale, cioè quello reale, ma al deficit strutturale. Il  deficit strutturale  viene calcolato dalla Commissione in base a dei parametri del tutto arbitrari, uno dei quali è il tasso di disoccupazione. 

In particolare  l’Italia  per il 2014 al deficit nominale stimato al 2,6 % del pil deve aggiungere un’ulteriore 0,6% che deriva dalle stime dell’Unione , per cui il nostro deficit strutturale è del 3,2%.  Come incide il tasso di disoccupazione sulla determinazione del deficit strutturale?  E’ presto detto. In base a quanto sancito da Bruxelles,  con  un tasso di disoccupazione al 9% ad esempio,   si avrebbe un recupero   dello 0,1% , ossia  al 2,6 del deficit nominale andrebbe sottratto lo 0,1 per cui il deficit strutturale passerebbe dal 3,2 al 2,5  saremmo in una situazione molto migliore. 

Con il tasso di disoccupazione attuale al  13%, invece, si determina la maggiorazione  dello 0,6% per un risultato come già detto pari la 3,2%. Va da sé che per diminuire realmente il tasso di disoccupazione sarebbero necessari investimenti soprattutto pubblici finalizzati alla creazione di  nuove opportunità di lavoro.  Ciò non può avvenire perché altrimenti si andrebbe ad aggravare il rapporto deficit nominale /pil.   

Per cui se da un lato sarebbe necessario abbassare   il tasso di disoccupazione per diminuire il deficit strutturale, dall’altro la cosa è impedita dalla impossibilità di destinare risorse a questo scopo   per evitare di aumentare ulteriormente il deficit nominale.  

E’ del tutto evidente che questo diabolico sistema, di fatto,  impone la disoccupazione,  ne impedisce, non solo la rimozione, ma anche il contenimento in valori sopportabili.   Essa  è necessaria  ad aumentare il deficit e ad  inasprire le  politiche di austerità, con le tragiche conseguenze del ricorso ai programmi lacrime e sangue della troika, comprendenti la privatizzazione di beni e servizi a favore del capitale finanziario.  

Dunque viene provato una volta di più che la disoccupazione è funzionale all’accumulazione capitalistica.  Le leggi approvate nell’ultimo ventennio  in Italia, ma anche in Europa, in Germana per esempio, sulle  tematiche del lavoro non fanno che  aumentare il potere di controllo della ricchezza sulla popolazione. Con il falso obbiettivo di creare occupazione si è accresciuta a  dismisura la precarietà del lavoro e la frammentarietà del reddito che questa sottende. 

Il jobs act  di Renzi,  con i contratti a tempo determinato senza causale, rinnovabili otto volte per tre anni, il che significa assicurare un lavoro per quattro mesi al massimo e poi arrivederci e grazie,   inaspriscono gli effetti devastanti della precarietà. Non si crea nuova occupazione, come ampiamente dimostrato da vent’anni di politiche del lavoro basate sulla precarizzazione dei contratti, e aumenta  il potere di ricattabilità del capitale finanziario sulla popolazione.  

La conclusione è evidente. Per combattere la disoccupazione è necessario combattere il sistema capitalistico, non c’è alternativa.  Si tratta di riprendere con maggior vigore e con una rinnovata organizzazione la vecchia cara lotta di classe. Ma esiste un movimento, un partito, un associazione che abbia consapevolezza di ciò,  che riesca a compattare il blocco sociale subalterno  disgregato dagli eserciti riformisti, e riorganizzare un efficace contrasto al capitalismo? 

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