Le rovine

"Le rovine non le temiamo. Erediteremo la terra. La borghesia dovrà farlo a pezzi il suo mondo, prima di uscire dalla scena della storia. Noi portiamo un mondo nuovo dentro di noi, e questo mondo, ogni momento che passa, cresce. Sta crescendo, proprio adesso che io sto parlando con te"

Buenaventura Durruti

venerdì 13 novembre 2015

Dichiarazione del Segretario Provinciale del PCd’I, Oreste Della Posta

Sono allarmato e indignato, ho letto sulla stampa locale la denuncia del Deputato Luca Frusone del M5S che «Ad oggi ... nessuno del PD in Regione ha portato avanti la mozione presentata dalla nostra consigliera 5 Stelle Denicolò che senza il supporto della forza di maggioranza, potrebbe non venire mai calendarizzata e quindi discussa....».
Questo è un fatto molto grave anche perché la Mozione presentata dalla Consigliera Regionale Silavana Denicolò, dopo aver ascoltato la Vertenza Frusinate,  è condivisa da numerosi altri Consiglieri, tutti di opposizione, compreso Mario Abbruzzese, ma da nessun esponente della maggioranza, neppure uno di quelli che si definiscono rappresentanti della nostra Provincia.
La Mozione chiede che si intervenga concretamente con azioni immediate ed efficaci perché persiste nell’intera provincia l’impossibilità per migliaia di famiglie di far fronte, per mancanza di un reddito da lavoro, alle più elementari esigenza della vita quotidiana e questa drammatica situazione si ripercuote su tutto il circuito sociale e produttivo, dai settori alimentare e dell’abbigliamento, ai servizi, la scuola, la formazione professionale, la sanità, tutti comparti già colpiti da drastiche riduzioni di livello a causa del blocco dei consumi da una parte e da una evidente depressione della qualità della vita dall’altra mettendo in luce che "tale situazione richiederebbe grande cura da parte delle amministrazioni pubbliche, ed immediati interventi volti a ridare una prospettiva occupazionale al territorio e riavviare il motore dell'economia locale".
Qualunque siano le legittime differenti posizioni, chi si assume la responsabilità di impedire la discussione immediata di questa importante Mozione? La maggioranza che governa la Regione ed in particolare il PD si assumono questa gravissima responsabilità a danno del frusinate?

A nome del PCd'I mi rivolgo a tutti i sindacati, a partire da Cgil, Cisl e Uil, di questa provincia perché si impegnino, insieme ai disoccupati, per sollecitare una rapida discussione della Mozione n° 352, protocollata il 23 settembre 2015 e sostengano le più idonee misure a fronteggiare la grave crisi ciociara.

Oreste Della Posta

Frosinone e la vergogna fascista

Luciano Granieri

Non basta la vergogna per essere la prima città in quanto ad  inquinamento in Italia.
Non basta la vergogna per una sanità allo sbando.
Non basta la vergogna per le bollette dell'acqua più alte d'Italia
Non basta la vergogna per una disoccupazione dai numeri da brivido ben al disopra della media nazionale.
Non basta la vergogna per un territorio in completo dissesto idrogeologico.
Tocca anche sorbirsi il becerume fascista.
 Ciò è segno inequivocabile  che se la squadra di calcio è in serie A
 La dignità della città milita nella categoria più infima.
Per questo dobbiamo ringraziare le autorità dell'attuale e delle precedenti amministrazioni 
Le quali  hanno lasciato spazio, oltre che allo smog, alla povertà e al disagio sociale 
Anche alla feccia fascista.
Che il comune si adoperi urgentemente alla rimozione dello sfregio  della scritta sul viadotto Biondi.
Un posto già disastrato di suo che non ha bisogno di altri insulti arrecati da gente troglodita ed ignorante. 
Sindaco! che almeno  si provveda a ripristinare un minimo di rispetto per la Costituzione
E a riportare il decoro su uno dei meno brutti panorami della città.



giovedì 12 novembre 2015

L’Impero del caos

Di Noam Chomsky e C.J. Polychroniou
 La politica estera degli Stati Uniti  nel 21° secolo ha poco da offrire tranne che una massiccia potenza militare. In effetti sono finiti i giorni in cui la potenza  militare poteva essere usata per ” ricreare il mondo a immagine dell’America.” Nell’era del dopo Guerra Fredda  gli interventi militari degli Stati Uniti hanno luogo in assenza di una visione strategica totale e con giustificazioni ideologiche che mancano di forza e di convinzione anche tra gli alleati tradizionali. C’è quindi poco da meravigliarsi, allora, che gli interventi militari, sempre illegali e ingiustificabili, finiscano con l’ottenere nulla di più che la creazione di buchi neri che a loro volta provocano nuove organizzazioni terroristiche sempre più violente determinate a diffondere la loro propria visione di ordine sociale e politico.
In questa intervista esclusiva per Truthout,  Noam Chomsky riflette sulle dinamiche della politica estera statunitense nel 21°secolo e sulle implicazioni della politica di     far piovere la distruzione sull’ordine mondiale. Chomsky valuta anche il ruolo del coinvolgimento della Russia in Siria, dell’ascesa dello Stato Islamico e dell’evidente attrazione che ha per molti giovani musulmani che arrivano dall’Europa, e offre una visione cupa del futuro della politica estera degli Stati Uniti.
CJ Polychromiou: gli interventi militari degli Stati Uniti nel 21° secolo (per esempio: Afghanistan, Iraq, Libia, Siria) si sono dimostrati totalmente disastrosi, tuttavia i termini del dibattito sull’intervento devono ancora essere     tra i guerrafondai di  Washington. Quale è la spiegazione di questo?
Noam Chomsky: In parte il vecchio luogo comune : quando tutto quello che hai è un martello, ogni cosa sembra un chiodo. Il relativo vantaggio degli Stati Uniti sta nella loro forza militare. Quando fallisce una forma di intervento, la dottrina e la pratica possono essere rivedute con nuove tecnologie, espedienti, ecc. C’è una buona revisione del processo dalla Seconda Guerra mondiale fino a oggi in un recente libro di Patrick Cockburn, Kill Chain. Ci sono alternative possibili, come appoggiare la democratizzazione (nella realtà, non con la retorica). Queste però hanno conseguenze analoghe a cui gli Stati Uniti non sarebbero favorevoli. Questo è il motivo per cui gli Stati Uniti appoggiano la “democrazia”; sono forme di democrazia “dall’alto verso il basso” in cui le élite legate agli Stati Uniti restano al potere, per citare il massimo studioso di “promozione della democrazia,” Thomas Carothers, un ex funzionario di Reagan che è un forte sostenitore di tale processo, ma che, sfortunatamente riconosce la realtà.
Alcuni hanno sostenuto che le guerre di Obama sono molto diverse per stile e sostanza da quelle del suo predecessore George W. Bush. C’è una qualche validità dietro queste affermazioni?
Bush faceva affidamento sulla violenza militare di “colpisci e terrorizza”, che si era dimostrata disastrosa per le vittime e che aveva causato serie sconfitte per gli Stati Uniti. Obama ora fa affidamento su altre tattiche, prima di tutto la campagna di assassinio globale con i droni che sta infrangendo nuovi record nel terrorismo internazionale, poi le operazioni delle Forze Speciali, oramai in gran parte del globo. Nick Turse, massimo ricercatore dell’argomento, di recente ha riferito che le forze di élite statunitensi sono state impiegate, frantumando un record,  in 147 paesi nel 2015.”
La destabilizzazione e quella che chiamo la “creazione dei buchi neri” è lo scopo principale dell’Impero del Caos in Medio Oriente e altrove, ma è anche chiaro che ora gli Stati Uniti navigano in un mare turbolento senza avere alcun senso della direzione , e di fatto senza avere un’idea sufficiente  ciò che è necessario fare una volta che il compito della distruzione sia stato completato. Quanto di questo è dovuto al declino degli Stati Uniti come nazione egemone globale?
Il caos e la destabilizzazione sono reali, ma non penso che questa sia lo scopo. E’ piuttosto una conseguenza di aver colpito fragili sistemi che non si comprendono,  scagliandosi sempre contro di loro con la forza,  lo strumento principale, come in Iraq, Libia, Afghanistan e altrove. In quanto al declino continuo del potere egemonico degli Stati Uniti (in realtà iniziato nel1945, con alcuni alti e bassi), ci sono conseguenze nell’attuale scena mondiale. Considerate, per esempio, il destino di Edward  Snowden. E’ stato riferito che quattro nazioni latino-americane gli hanno offerto asilo, non avendo più paura della frusta di Washington. Questa è una conseguenza di un declino molto significativo del potere statunitense nell’emisfero occidentale.
Dubito, tuttavia, che il caos in Medio Oriente si identifichi con questo fattore. Una conseguenza dell’invasione americana dell’Iraq è stata quella di istigare conflitti tra sette i quali stanno distruggendo l’Iraq e stanno ora facendo a pezzi la regione. Il bombardamento della Libia iniziato dall’Europa, vi ha provocato un disastro che si è diffuso ben oltre con flusso di armi e stimolando crimini jihadisti. E ci sono molti altri effetti causati dalla violenza straniera. Credo che il corrispondente dal Medio Oriente, Patrick Cockburn, faccia un’osservazione corretta quando dice che la Wahhabizzazione dell’Islam sunnita è uno degli sviluppi più pericolosi dell’era moderna. Oramai molti dei più orribili problemi sembrano praticamente insolubili, come la catastrofe siriana, dove le sole esile speranze stanno in qualche tipo di accordo negoziato verso il quale le potenze coinvolte sembrano lentamente avanzare.
Anche la Russia sta facendo piovere la distruzione in Siria. A che scopo? La Russia pone una minaccia  agli interessi degli Stati Uniti nella zona?
Evidentemente la strategia della Russia è di sostenere il regime di Assad, e in effetti sta “facendo piovere distruzione” prima di tutto attaccando le forze guidate dalla jihad e appoggiate dalla Turchia, dall’Arabia Saudita e dal Qatar e in parte dagli Stati Uniti. Un recente articolo sul Washington Post faceva pensare che le armi ad alta tecnologia fornite dalla CIA a queste forze (compresi missili TOW anticarro) avessero spostato l’equilibrio  militare a sfavore di Assad e fossero un fattore per attirare i russi. In quanto all’ “interesse statunitense” dobbiamo stare attenti. Gli interessi del potere degli Stati Uniti e quelli del popolo statunitense sono spesso molto diversi, come succede comunemente anche altrove. L’interesse ufficiale degli Stati Uniti è di eliminare Assad, e naturalmente l’appoggio russo ad Assad pone una minaccia a tale interesse. E lo scontro non è soltanto pericoloso, se non catastrofico, per la Siria, ma contiene anche una minaccia di escalation imprevista che potrebbe essere anche più catastrofica.
L’ISIS è un mostro creato dagli Stati Uniti?
Una recente intervista con l’illustre analista di Medio Oriente, Graham Fuller, è intitolata: “Ex funzionario della CIA dice che le politiche degli Stati Uniti hanno contribuito a creare l’IS.” Ciò che dice Fuller, credo correttamente, è che “Penso che gli Stati Uniti siano uno dei primi creatori fondamentali di questa organizzazione. Gli Stati Uniti non hanno pianificato la formazione dell’ISIS, ma i loro interventi distruttivi in Medio Oriente e la guerra in Iraq sono state le cause alla base della nascita dell’ISIS. Vi ricorderete che il punto di partenza di questa organizzazione è stato protestare contro l’invasione dell’Iraq da parte degli Stati Uniti, appoggiata, in quei giorni, anche da molti sunniti non-islamisti a causa della loro opposizione all’occupazione dell’Iraq. Penso che anche oggi l’ISIS [ora Stato Islamico] sia appoggiato da molti sunniti che si sentono isolati dal governo sciita a Baghdad. La creazione del dominio sciita è stata una conseguenza diretta dell’invasione statunitense dell’Iraq, una vittoria per l’Iran e un elemento della straordinaria sconfitta degli Stati Uniti in Iraq. Quindi, per rispondere alla sua domanda, l’aggressione statunitense è stata un fattore per l’ascesa dell’ISIS, ma non c’è alcun valore  nelle teorie cospirative che circolano nella regione che sostengono che gli Stati Uniti avevano pianificato la creazione di questa mostruosità incredibile.
Come spiega il fascino che un’organizzazione del tutto barbara e selvaggia come lo Stato Islamico ha per molti giovani musulmani che vivono in Europa?
Ci sono stati un bel po’ di  studi accurati del fenomeno da parte, tra gli altri, di Scott Atran. L’attrattiva sembra essere diffusa principalmente tra i giovani che vivono in condizioni di repressione e di umiliazione, con scarsa speranza e poche opportunità e che cercano un qualche obiettivo nella vita che offra loro dignità e di autorealizzazione; in questo caso, instaurare un utopistico stato islamico che sorga come opposizione a secoli di  assoggettamento e di distruzione da parte del potere imperiale occidentale. Inoltre, sembra esserci molta pressione dei loro compagni – membri della stessa società di calcio, e così via. Anche la natura intensamente settaria dei conflitti regionali senza dubbio è  un fattore – non soltanto “difendere l’Islam” ma difenderlo dagli apostati sciiti. E’ uno scenario molto brutto e molto pericoloso.
L’amministrazione Obama ha dimostrato poco interesse di rivalutare il rapporto degli Stati Uniti con i regimi autoritari e fondamentalisti in luoghi come l’Egitto e l’Arabia del Sud. La promozione della democrazia è un elemento completamente fasullo della politica estera statunitense?
Senza dubbio ci sono persone come Thomas Carothers, nominato prima, che si dedicano realmente alla “promozione della democrazia” nel Dipartimento di stato di Reagan. Le testimonianze, però, dimostrano molto chiaramente che questa è raramente un elemento nella linea politica e alquanto spesso la democrazia è considerata una minaccia – per buone ragioni, quando si considera l’opinione popolare. Per citare soltanto un esempio ovvio, i sondaggi eseguiti dalla principale agenzia di sondaggi statunitense ( la WIN Gallup), dimostrano che gli Stati Uniti sono considerati, con largo margine, la più grande minaccia per la pace del mondo. Il Pakistan è al secondo posto, a molta distanza (presumibilmente gonfiato dal risultato delle elezioni in India). I sondaggi svoltisi  in Egitto alla vigilia della Primavera Araba hanno rivelato un notevole sostegno per le armi nucleari iraniane per controbilanciare il potere di Israele e degli Stati Uniti. L’opinione pubblica è spesso a favore di riforme sociali del genere che danneggerebbe le multinazionali con base negli Stati Uniti. E molto altro. Non sono certo politiche che al governo statunitense piacerebbe venissero istituite, ma l’autentica democrazia darebbe una voce significativa all’opinione pubblica. Per analoghe ragioni, la democrazia è temuta in patria.
Prevede dei cambiamenti importanti nella politica estera degli Stati Uniti nel prossimo futuro con un’amministrazione Democratica o Repubblicana?
Non con un’amministrazione democratica, ma la situazione con un’amministrazione  Repubblicana è molto meno chiara. Il partito ha deviato molto dallo spettro della politica parlamentare. Se le dichiarazioni dell’attuale  gruppo di candidati possono essere prese sul serio, il mondo potrebbe  trovarsi davanti a seri guai. Prenda, per esempio, l’accordo con l’Iran sul nucleare. Non soltanto sono unanimemente contrari a esso, ma fanno a gara su quanto rapidamente bombardare l’Iran. E’ un momento molto strano nella storia politica americana, e in uno stato con paurosi poteri di distruzione, questo dovrebbe provocare non poca preoccupazione.
CJ Polychroniou è uno studioso di politica e di economia politica che insegnato e lavorato in università e centri di ricerca in Europa e negli Stati Uniti. I suoi principali interessi  nl campo della ricerca  sono: l’integrazione economica europea, la globalizzazione, l’economia politica degli Stati Uniti e la decostruzione del progetto politico-economico del neo-liberalismo. Collabora regolarmente con Truthout ed è anche membro del Truthout Public Intellectual Project. Ha pubblicato diversi libri e i suoi articoli sono apparsi su una serie di periodici, riviste, quotidiani e su famosi siti web di informazione.  Molte delle sue pubblicazioni sino state tradotte in molte lingue straniere tra le quali: croato, francese, greco, italiano, portoghese, spagnolo e turco.
fonte: Zetanet Italy

Facciamo chiarezza


martedì 10 novembre 2015

La finanziaria di Renzi e Confindustria Un attacco dei padroni da respingere con le lotte

Patrizia Cammarata



La finanziaria (legge di stabilità) 2016 è presentata, dal governo, alle masse popolari e all’opinione pubblica del nostro Paese come l’atto di giustizia atteso da tempo, un atto che metterà la parola fine all’immoralità dei decenni precedenti, una scelta di equità di una generazione nei confronti di un’altra, un atto di pentimento da parte di genitori scialacquoni che hanno fatto ricadere sui figli i loro debiti di una vita colma di privilegi (privilegio che per il governo, rappresentante degli interessi di Confindustria, è consistito, ad esempio,  nel diritto dei lavoratori ad accedere ad una pensione che permettesse di sopravvivere, dopo una vita di lavoro).
L’Unione europea ha concesso all’Italia non certo una cancellazione del debito, ma solo una flessibilità sui conti: tutto l’impianto della finanziaria rimane il “compitino a casa” dettato da Bruxelles. In nome di questa “flessibilità”, annunciata come un grande risultato, il governo Renzi-Padoan  ha  deciso di sopprimere per tutti la tassa sulla prima casa di proprietà, associando questa manovra ad un messaggio populista che tenta di confondere la cancellazione di questa tassa al giusto principio del “diritto alla casa”, mentre, al contempo, Renzi strizza l’occhio all’elettorato di destra, continuando nel suo progetto di definitiva conquista del suo blocco sociale, dato che questa tassa non sarà abrogata solo per i proprietari di un’unica casa (quegli operai e salariati che sono riusciti ad acquistarla con il sacrificio di decenni di mutuo) ma anche per i ricchi borghesi che di  case e ville ne possiedono a decine.
Mentre il governo ha concentrato la sua propaganda su questo passaggio (abolizione della tassa sulla prima casa e cancellazione dell'Imu agricola e sui macchinari cosiddetti “imbullonati”) ha cancellato al contempo ogni ipotesi d’investimenti pubblici: la parola d’ordine è la tutela dei redditi dei ricchi con la falsa giustificazione che la tutela di questa ricchezza potrà servire a tutti, asserendo che questa ricchezza potrà essere investita nello sviluppo e nella crescita per un benessere collettivo. Da sempre la realtà dei fatti ci indica, al contrario, che è una falsità affermare che l’aumento dei redditi d’impresa (redditi che anche nella crisi sono sempre stati tutelati) porti ad un aumento della ricchezza generale. L’aumento dei redditi d’impresa è lo strumento per l’aumento dei grandi patrimoni finanziari ed alza, al contempo, l’evasione fiscale.
Un’evasione fiscale alla quale questa finanziaria toglie anche il piccolo laccio che consisteva nel tetto di mille euro per le transazioni in liquido. L’aumento ai tremila euro non è certo un provvedimento rivolto a rendere più agevole la vita e l’accesso alla spesa nei supermercati degli operai e dei precari che tremila euro li vedono, forse, con il lavoro di tutti i giorni di due mesi consecutivi, o per i pensionati poveri che i tremila euro, sempre se ce la fanno, li conservano come unico risparmio per le spese del proprio funerale (magari per non pesare sui figli spesso precari e/o disoccupati). Anche questa misura risponde alle esigenze degli industriali che, dopo aver ottenuto il Jobs Act ("Si realizza un nostro sogno", aveva dichiarato allora il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi), continuano ad andare all’incasso e ottengono così un ulteriore vantaggio, una normativa che potrebbe portare a facili possibilità di pagamenti fuori busta e transazioni esentasse.
Mentre la tassa alle imprese, a partire dal 2017, sarà ridotta, il canone Rai sarà abbassato di soli 13 euro e inserito nella bolletta della luce. Saranno prorogati gli incentivi per le ristrutturazioni edilizie e le ristrutturazioni legate al risparmio energetico, provvedimenti che agevolano i soli proprietari di case in un Paese in cui la crisi economica ha determinato un calo di reddito dei nuclei famigliari e migliaia di licenziamenti ai quali, spesso, seguono in breve tempo il dramma degli sfratti per morosità, negli ultimi anni in continua crescita. Nessuna concreta ed efficace politica per il diritto alla casa in un Paese il cui patrimonio pubblico rappresenta circa il 5% degli immobili contro il 15% in Germania e Francia, il 20% in Inghilterra, il 35% in Olanda. Ma la finanziaria del governo Renzi non si preoccupa certo di assicurare una casa alle migliaia di famiglie povere e ripropone una politica che sta portando all’esasperazione la già drammatica situazione sociale del Paese che è l’ultimo in Europa negli investimenti contro l’esclusione sociale.
Risulta chiaro che l’abbassamento delle tasse continuamente ribadito da Renzi significa riduzione delle tasse prevalentemente su imprese (riduzione dell’Ires) e proprietà immobiliari, a fronte di un’ulteriore e parallela riduzione della spesa pubblica e del patrimonio pubblico, un taglio della spesa pubblica che è associata in modo demagogico alle parole “efficienza”e “lotta agli sprechi”, concetti che servono a portare l’opinione pubblica all’accettazione, come soluzione finale, delle privatizzazioni.
Una finanziaria che accresce le disuguaglianze sociali
Le giovani generazioni di disoccupati e precari non troveranno nessun giovamento dall’approvazione di questa finanziaria che non crea occupazione e non riduce la disoccupazione. Di là dalla propaganda la realtà ci parla di una situazione drammaticamente consolidata: le misure di de-contribuzione per i nuovi assunti con il contratto a tutele crescenti previsto dal Jobs Act e di deduzione dall’Irap del costo del lavoro dei dipendenti a tempo indeterminato, previste nella scorsa Legge di stabilità per il triennio in corso, non hanno certo modificato il quadro della tragedia della disoccupazione. La platea dei disoccupati, infatti, sfiora i circa sei milioni di persone contando anche le forze di lavoro “potenziali”, e la disoccupazione è prevista sopra il 10% fino al 2019. Ciò significa che, con la Legge Fornero e senza cambiamenti dell’assetto previdenziale, si programma un tasso di disoccupazione giovanile, nonostante gli sbandierati incentivi alle assunzioni, attorno al 40% per tutti i prossimi cinque anni(1).
Nessuna risposta, nessun reale cambiamento di rotta per le pensioni in quanto le misure proposte in relazione alla pensione sono rivolte ad una minoranza di lavoratori/lavoratrici (come nel caso di “Opzione donna”) e di questa minoranza cui sono rivolte solo una minoranza della minoranza potrà accedervi perché pesantemente penalizzanti dal punto di vista economico; nessuna rottura con la legge Fornero i cui effetti devastanti sono pagati dai lavoratori e dalle lavoratrici costretti ad arrancare nelle fabbriche, negli asili nido, nelle scuole, nei posti di lavoro, ad un’età in cui la precedente generazione era già in pensione da anni. Donne e uomini che spesso vivono un doppio dramma: una giornata lavorativa che non riescono più a sostenere per difficoltà fisiche o psicologiche legate all’avanzare dell’età e il rientro a casa dopo una giornata di lavoro che per molti di loro significa un dramma nel dramma dato che a casa, ad aspettarli, in molti casi, ci sono i figli giovani ma disoccupati, costretti a vivere ancora con i genitori e nell’incapacità oggettiva di costruirsi un’autonomia economica.
Ma, com’è ovvio, governo e Confindustria non hanno fra le loro priorità la giustizia sociale o le condizioni di vita di milioni di salariati e delle giovani generazioni: non si deve invecchiare perché non si può andare in pensione e non ci si deve ammalare perché la cura delle malattie, con le  pesantissime misure rivolte al Servizio Sanitario Nazionale, che subirà  tagli per una cifra di 20 miliardi di euro dal 2016 al 2019,  sarà una opzione possibile solo per le classi sociali più benestanti, inasprendo una situazione già drammatica, dato che già ad oggi milioni di persone in Italia rinunciano alle cure sanitarie per motivi economici (è stato, inoltre, proprio Sergio Chiamparino, dello stesso partito di Renzi e Presidente della Regione Piemonte, che ha affermato che “solo il mancato incremento della spesa sanitaria nel 2016 potrebbe far aumentare i ticket e compromettere la distribuzione dei farmaci salvavita”).
I minori trasferimenti previsti agli enti locali si trasformeranno in tagli ai servizi pubblici e socio assistenziali, si assisterà alla privatizzazione spinta delle aziende partecipate e questa situazione generale porterà a licenziamenti e mobilità. Accanto a queste prospettive il governo annuncia per il rinnovo dei contratti pubblici, dopo il blocco degli ultimi sei anni, la somma simbolica di 200 milioni, il blocco del salario accessorio e della sostituzione del turn over e restano senza una risposta credibile i numerosi esuberi conseguenti alla sparizione delle Province.
Svuotamento di tutto il sistema pubblico (sanità, scuola, enti locali, trasporti ecc...) e alta disoccupazione saranno  il risultato di questa finanziaria in piena crisi del capitalismo; la presenza di un gran numero di disoccupati è funzionale all’esistenza stessa del sistema capitalistico, poiché, alimentando la concorrenza tra i lavoratori, garantisce al contempo un basso livello di salari e la tenuta del saggio di profitto dei capitalisti. Il governo, inoltre, accompagna questa finanziaria inasprendo ancora di più il dibattito politico per quanto riguarda la messa in discussione e l’attacco ai diritti sindacali.
Contro la finanziaria, contro il populismo del Movimento 5 stelle e il razzismo della Lega
E’ necessario, quindi, ricordare che questa finanziaria non è semplicemente una “cattiva” finanziaria ma la naturale risposta del capitalismo italiano alla sua crisi e per sconfiggere i suoi provvedimenti è necessario porre all’ordine del giorno la costruzione di un soggetto politico rivoluzionario che si ponga come obiettivo fondamentale e imprescindibile l’abbattimento del capitalismo e di tutte le sue tragiche conseguenze.
Quest’obiettivo non è perseguito né dal razzismo della Lega di Salvini che si erge a difensore dei diritti dei lavoratori, spendendosi in campagne anti-Fornero, occupando l’enorme spazio vuoto lasciato dalla crisi e dal tradimento della sinistra italiana mentre al contempo divide la classe lavoratrice e aizza i lavoratori e i poveri nativi contro i lavoratori e i poveri immigrati, né dal populismo del Movimento 5 stelle di Grillo e Casaleggio che considera i lavoratori del Pubblico impiego e i pensionati la zavorra parassitaria della società(2), né dalla “nuova” Sinistra italiana nata per interesse di politici riformisti di lungo corso che già tanti tradimenti e tanto male hanno causato alla classe lavoratrice di questo Paese (i Vendola, i Cofferati, i Fassina, ecc…).
La finanziaria di Renzi/Confindustria è la risposta del capitalismo italiano in crisi, un capitalismo inserito in una crisi mondiale di sovrapproduzione profondissima e che fa i conti con un’Unione Europea che evidenzia ogni giorno di più le contraddizioni fra centro e periferia, che ha svelato più volte difficoltà istituzionali e che ha dimostrato il suo volto disumano nel comportamento nei confronti della drammatica vicenda dei profughi in fuga da guerre e fame.
Respingere le misure antipopolari contenute nella finanziaria è necessario e affinché ciò avvenga sarebbe necessaria la proclamazione di un grande sciopero generale unitario e ad oltranza.
Al tradimento delle burocrazie sindacali dei sindacati concertativi (che hanno fatto passare la Legge Fornero, ad esempio, proclamando solo tre ore di sciopero), all’ormai chiaro fallimento di gran parte del sindacalismo di base i cui dirigenti, nonostante la militanza di attivisti di base generosi e onesti, procedono nella divisione delle lotte, nella gestione aziendale che si sostituisce spesso  all’incoraggiamento del conflitto e  in alcuni casi nella capitolazione opportunista (come dimostra  la firma dell’Accordo sulla Rappresentanza da parte di alcune sigle sindacali di base), impedendo in questo modo una determinata e unitaria risposta agli attacchi, è necessario rispondere con il coordinamento e l’unità delle lotte, con la creazione di comitati di lotta e assemblee permanenti nelle fabbriche e nei luoghi di lavoro, con il rafforzamento degli organismi di coordinamento già esistenti nel territorio nazionali (come, ad esempio, il Coordinamento No Austerity (3),  rifiutando ogni pregiudizio nei confronti di chi lotta per il cambiamento e rifiutando ogni tentativo di dividere,  a scopi opportunisti, burocratici e di difesa del proprio orticello, le lotte di chi, da questa finanziaria, subirà solo ulteriori arretramenti nei diritti e nelle proprie condizioni di vita e di  lavoro.
Note1) http://www.cgil.it/Archivio/politiche-economiche/CGIL_LS2016_Schede_di_approfondimento_2.11.2015-1.pdf
2) da  http://www.beppegrillo.it/2011/08/locomotiva_italia.html : “Ma qualcuno sano di mente pensa realmente che con 19 milioni di pensionati e 4 milioni di dipendenti pubblici possiamo farcela? Per mantenerli vengono spalati ogni anno nelle caldaie della locomotiva Italia, sempre più lenta, in affanno, con salite ormai proibitive, altri 100 miliardi di debito pubblico, come fossero carbone, che corrispondono almeno a 5 miliardi di interessi annui in più. Pagati dai sempre più rari contribuenti, le aziende chiudono e ci sono 4 milioni di disoccupati. Il tasso sul nostro debito sale e gli interessi non possono che aumentare. Nel 2011, se va bene, pagheremo 100 miliardi di interessi. L'Italia non ha alcuna possibilità di farcela con questa zavorra. ..”
3) 
http://www.coordinamentonoausterity.org/

lunedì 9 novembre 2015

Il flop leghista e la narrazione mediatica funzionale all’alternanza liberista

Collettivo politico comunista sezione della rete nazionale " noi saremo tutto".


Se l’oggettività fosse una caratteristica dei media generalisti, questi avrebbero dovuto aprire con l’ennesimo flop numerico di una manifestazione leghista. Una piazza militarizzata e dimezzata dagli stand della fiera “Cioccoshow”, in realtà prevista solo per l’11 novembre, ma opportunamente montata con ampio anticipo per ridurre ulteriormente la portata della piazza, ha visto la presenza di un numero di manifestanti identico a quelli portati a piazza del Popolo, a Roma, il 28 febbraio scorso. Solo che a differenza di Roma, città in cui la Lega è ancora oggi un soggetto completamente estraneo alla politica cittadina (anzi, lo è proprio perché ci fu quel 28 febbraio), a Bologna eravamo in quel nord che vede le percentuali elettorali del partito di Salvini costantemente sopra il 20%. Il fenomeno mediatico-elettorale leghista continua a perdere aderenza sul famigerato territorio, e l’occupazione salviniana di ogni trasmissione televisiva può portare voti ma non peso sociale. Questa, appunto, avrebbe potuto essere una possibile lettura “neutra”, non schierata politicamente, constatante semplicemente alcuni dati di fatto. Come la scomparsa di Forza Italia, presente ieri in piazza ma incapace di apportare qualsivoglia forma di presenza organizzata al di là dei propri dirigenti, anch’essi frutto di un’accurata sovraesposizione mediatica. Tutto questo però è impossibile rintracciarlo sui media, che per tutta la giornata hanno scientemente evitato di sparare numeri sulla partecipazione leghista, evidentemente in difficoltà rispetto all’irrilevanza di un’opposizione che però, in quanto funzionale, necessita di una narrazione avvincente da contrapporre al dominus renziano. A parte Salvini che da qualche parte ha sparato i soliti centomila di default, anche la cifra di 20.000 appare davvero irrealistica. E’ la cifra della capienza massima possibile ma, come detto, la piazza in realtà era una mezza piazza, e nelle vie adiacenti il flusso leghista era completamente assente. Non è però solo questione di numeri, seppure questi rappresentino un sintomo di precarietà sostanziale del partito leghista, capace di centralità per la parallela crisi di Forza Italia. La questione politica conferma alcune riflessioni che non solo noi andiamo dicendo da qualche tempo. E l’atteggiamento dei media ieri ha confermato, se ce ne fosse ancora bisogno, il ruolo del partito di Salvini. Da una parte questo viene descritto come partito populista, razzista e antieuropeista, dunque marchiando la sua proposta politica come apparentemente irricevibile. Dall’altro lo si tiene costantemente sovraesposto mediaticamente così da fomentare percentuali elettorali in grado di impensierire il Pd e di rendere superficialmente credibile la sua proposta politica. Un giochetto smascherato ieri in tutta la sua platealità.
Bologna ieri non è stata però solo vittima del sit-in reazionario. Ieri la città ha espresso un rifiuto popolare e conflittuale al rancore proprietario salviniano, bloccando la città e strappando con la forza un corteo numericamente all’altezza della chiamata esclusivamente cittadina (a differenza dei figuranti pagati di piazza Maggiore d’ogni provenienza nazionale), e politicamente in grado di dare voce e rappresentanza a un pezzo di proletariato locale costantemente sotto attacco delle politiche dei due Matteo. Un corteo per l’appunto conquistato con la forza, perché ieri nella “rossa” Bologna era impraticabile opporsi democraticamente all’invasione leghista, e il corteo di protesta è stato confinato per più di due ore sopra un ponte, impossibilitato a muoversi in alcun senso, costretto all’impotenza da istituzioni che in primavera chiederanno il voto sfruttando ogni possibile retorica antifascista anti-leghista. Eppure alla fine è stata, per l’ennesima volta, la giornata di MaiconSalvini, di un popolo che ancora rifiuta il rancore individualista e xenofobo di una borghesia impoverita e vittimista che trova temporaneamente in Salvini il suo rappresentante politico. Con buona pace del blocco reazionario e dei media complici, ancora una volta il giochetto gli è stato smontato. Non basterà a sottrarre consensi a una Lega capace di articolare un certo rifiuto anche popolare verso l’accentramento europeista, ma è di sicuro un buon viatico.

IKEA: l’accordo che mette in saldo il lavoro. VOTA NO!

Nando Simeone

Ci si poteva e ci si doveva aspettare molto di più vista la grande partecipazione delle lavoratrici e dei lavoratori Ikea alle grandi e colorate mobilitazioni in difesa del contratto integrativo disdettato dalla direzione aziendale. Invece ha prevalso ancora una volta il pragmatismo delle organizzazioni sindacali confederali e la loro fretta di chiudere il contenzioso con il colosso Svedese. Il risultato è disastroso sotto ogni punto di vista. La multinazionale ottiene l’obbiettivo di fondo che si era prefissato disdettando tutta la contrattazione: ridurre drasticamente il costo del lavoro, soprattutto in prospettiva, e cancellare buona parte della contrattazione.
Il doppio regime normativo e economico si rafforza e sia estende. Il prezzo più alto lo pagheranno i neoassunti su cui si scarica per intero il falcione aziendale: cancellato loro il premio aziendale, unica quota certa e garantita di salario; per i primi due anni di anzianità non percepiranno nessuna maggiorazione per il lavoro domenicale, domenicale natalizio e festivo. Nell’ipotesi in cui il neoassunto lavori in un nuovo punto vendita il suo percorso per ottenere la parità di trattamento economico sulle maggiorazioni, con i colleghi già in forza, durerà ben 7 anni, 4 per la moratoria contrattuale che, grazie ad un accordo, concede a Ikea di non applicare la contrattazione aziendale per i primi 4 anni in un nuovo punto vendita, e altri 3 di progressione remunerativa delle percentuali sulle maggiorazioni senza tuttavia la certezza di raggiungerla in quanto viene riconosciuta solo se il bilancio economico del singolo punto vendita e’ in attivo altrimenti si salta un giro. Il gioco dell’oca sulla pelle di chi lavora!!
Tuttavia, con un particolare senso di giustizia, le condizioni economiche vengono drasticamente peggiorate per l’insieme dei lavoratori. Il premio aziendale in quota fissa abbiamo detto scompare per i neoassunti, ma come voce salariale scompare del tutto, sancendo così la fine di una storia salariale. Ai lavoratori in forza con oltre due anni di anzianità verrà riconosciuto l’importo per intero ma trasformato in super minimo individuale non assorbibile. Ai lavoratori già in forza da meno di due anni in nuovi punti vendita verrà riconosciuta solo una quota del premio, proporzionale all’anzianita’ aziendale, ma solo dopo la moratoria di 4 anni e i due di anzianità!!!
Parimenti le maggiorazioni per lavoro domenicale, domenicale natalizio e festivo vengono parificate al 60%, al ribasso, per tutti. Abbassando in tre anni le percentuali a chi beneficiava di un 60% aggiuntivo “congelato” e elevando chi oggi era a zero in quanto impiegato in punti vendita nuovi, quindi non assoggettati alla contrattazione, ma solo dopo i 4 anni di moratoria e ulteriori 3 con un più 20% ogni anno.
Il trattamento economico delle domeniche natalizie passa dalla maggiorazione del 100% a quella del 75%. Anche il trattamento economico delle domeniche festive viene tagliato pesantemente, dal 100% all’80%.
Sulla volontarietà del lavoro domenicale viene sancita una disparità di trattamento, sia generazionale che territoriale, nel senso che per i lavoratori assunti prima del 31.08 2000 e nei punti vendita di Bologna, Brescia, Carugate, Corsico e Torino viene confermata la volontarietà della prestazione domenicale e la possibilità, per chi non aderirà a T.IM.E. Di effettuare il censiumento nelle modalità previste nei singoli store.
In sostanza il contratto peggiora le condizioni di tutte le lavoratrici e i lavoratori Ikea. Sbaglia chi pensa che così si sia salvata la contrattazione aziendale. Se la contrattazione abbassa i salari e i diritti, se il sindacato si piega alla pretese padronali la contrattazione serve alla imprese non ai lavoratori. Questo accordo distante e avverso dalle speranze dei lavoratori va bocciato e vanno riaperte le trattative, non è accettabile il doppio regime tra lavoratori, il salario di ingresso. Il lavoro ha pari dignità e ha diritto a pari trattamento. Ogni differenza crea divisione, indebolisce e consente al padrone di passare. Non mettiamo il lavoro in saldo!
AL REFERENDUM VOTA NO.

domenica 8 novembre 2015

Abbozzo provvisorio di "quasiultimora". Il resto, i resti (cattivi pensier..ini, Digressioni...) da domani... OGGI A BOLOGNA

Oreste Scalzone

'Stavolta
'Stavolta certo non si tratta di ''antifascismo postumo'', celebrativo – quello che abbiamo criticato negli anni '70 (naturalmente, non tirandoci mai indietro – anzi, al contrario ! – rispetto all'essere ''in prima fila'' contro il presentarsi di fascismo concreto, possibilmente, per i nostri gusti, quando neofascisti post-fascismo come regime si presentavano come mazzieri, teppa servo/padronale, ''briseurs de grêve'', sbirraglia che attaccava picchetti, facoltà o case occupate, e così via).
'Stavolta, non è l'antifascismo addomesticato, interclassista, acritico nei confronti dellle forme presenti, in corso, di dispotismo, utilitarismo ''spremi e getta'', libidine di comando, violenza legale : quello, per render l'idea con un'immagine al volo, dei palchi del 25 Aprile, o dell'anniversario di piazzale Loreto, con gli esponenti dell' « arco costituzionale », del «Comitato di difesa dell'ordine repubblicano », dell'orgia di tricolori e dei toni da regime, che avevano ispirato a Dario Fo il lungo titolo di una pièce « Tutti uniti, tutt'insieme ! ...Ma scusa, quello non è il padrone ? ». 
'Stavolta non si tratta neanche di quella versione magari anche generosa, ma fantasmatica e auto-incantatoria, che era la variante dell' «antifascismo militante » caro al grosso della sinistra extraparlamentare. Antifascismo postumo, a base ideologica e identitaria, che risultava assi ostico a noi di Potere Operaio e ad altre componenti legate alla critica radicale, al comunismo come movimento, a svariate correnti internazionaliste, autonome, libertarie, consiliariste, anarchiche, che contestavano la sostanziale subalternità di fatto a culture e politiche che avevano come sottofondo e presupposto un'impostazione ''frontista'' e ''nazional-popolare'' (e spesso e volentieri, ''carrista''. / Non c'è il tempo per una digressione, anzi un concatenamento di digressioni... Per dirla al volo, quella di chi aveva il cuore schierato non già con gli operai di Berlino '53 che erano insorti contro il socialismo capitalistico di Stato, ma bensì con quel segretario dell'Unione degli scrittori della DDR – organizzazione-satellite della Sed, il partito unico al potere-di-governamentalità, con evidenti 'passerelle' con la Stasi e tutto quello che rappresentava – che aveva scritto « La classe operaia di Berlino ha tradito la fiducia che il Partito aveva riposto in essa : ora dovrà lavorare duro per riguadagnarsela »... Frase che aveva ispirato il prudente ma acutissimo Bertolt Brecht la battuta « Il popolo non è d'accordo ? Bisogna nominare [o « eleggere » » – cito a memoria e non ricordo esattamente] un nuovo popolo.
''Carristi'' (nel lèssico francese, ''campisti'', intesi come schierati col sistema di Stati e regimi del ''campo socialista''), erano quelli schierati con ''la gloriosa Armata Rossa'' che a Budapest '56 aveva finito per schiacciare gli insorti, con l' ''avanguardia di massa'' degli operai di Cszepel, e per impiccare ''comunisti'' concorrenti come Imre Nagy, o comunisti come Pail Maleter eroe della Resistenza antinazista. Esempî di questo, prima e dopo – da Kronstdt ad altri numerosi ''comunisticidî'', alla ''controinsurrezione'' contro il movimento di sovversione sociale con epicentro in Catalogna negli anni 1936 e seguenti, alla vera e propria 'guerra poliziesca' contro anarchici della CNT e Poum, Partito operaio unificato marxista, di cui memoria in « Omaggio alla Catalogna » di Orwell e « Tierra y Libertad », film trattone da Ken Loach... Comunque : il discorso, e anche le connesse 'roventi polemiche', e anche i passionali ''addoloramenti'' di cui sincaramente mi dispiace, potrebbe occupare uno sterminato ipertesto. Chi vuole, può anche – ovviamente prendendo le cose con le molle – cercare nella rete....).
'Stavolta, oggi a Bologna, non è la versione anche generosa, e vissutasi come sovversiva, rivoluzionaria, delle successive generazioni di « antifascismo militante » che magari avevano il pregio di non essere legalitarie, ''cittadiniste'', demokrato-interclassiste, compromissorie, & tutto quanto della serie : ma che però finivano per restare, per deficit di critica radicale, a cominciare dalla critica dell'ideologia e dei « Valori », omologiche e subalterne rispetto ai fondamenti della sistemica di rapporti sociali, ed anche di tutta una ''antropologia'' […].
Un po' un ''antifascismo cantato'', da epopea e romanza popolare (tanto caro a tanta sofisticata intellighentzsjia, artisti, « intellettuali organici », insomma, « Scrittori e Popolo »...) : compresi brividi e pelle d'oca per canzoni come « Stalingrado » !

Niente di tutto questo, oggi. Anzi : la « Bologna rossa » dei Dozza e degli Zangheri (che nel '77 era con i blindati e duettava col Ministro di polizia, all'epoca Cossiga, anfitrione il Senatore Pecchioli), oggi è silenziosa se non compiacente.
In piazza ci sono quelli che in qualche modo sono eredi di noi « untorelli » del '77 – quelli che, creativi o ''tozzi'', avevano cacciato Luciano Lama dall'Università di Roma.
A volte la mia critica dell'Antifascismo istituito ha creato malintesi, e anche turbamenti. 
Certo, era rivolta contro la subalternità, la disponibilità ''obiettiva'' ad esser recuperati, la critica dell'ideologia del Lavoro e pratiche conseguenti, nonché dello statalismo e dell'ideologia del Progresso, nonché di identitarismi e ''patriottismi'' di vario genere, e conio.
Ma allora, il movimento aveva il sopravvento, era (come diceva Terracini) ''sulla cresta dell'onda'', e che onda !
Ora, i neo-neo-nazifascistoidi hanno preso molto « passovantaggio ». In combinazioni varie e diverse, con ultraliberalismo e con populismi d'ogni tipo [cfr. La prossima Digressione ], costituiscono un'insidia terribile, concreta.
|...] Vorrei essere oggi a Bologna. Poiché non amo gli « armiamoci e partite ! », facili a sconfessioni postume, non aggiungo altro. Salvo che, rispetto anche alla più ''stralunata'' delle forme di sabotaggio e disordinamento nella città super-blindata, mi sentirei, e se del caso mi sentirò, assolutamente solidale, e corresponsabile 'in solido'. Secundum il loro inquisitoriale « Affectio societatis scelerum ».
Non rileggo, non correggo, eventualmente stanotte o domani, Salud ! , Oreste